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UNA STORIA A LIETO FINE
Anche se negli ultimi anni si sta verificando una sorta di “rinascimento” dei formaggi caprini, la loro storia come quella della capra, alla base della loro produzione, non è stata delle più rosee. Bistrattata, trascurata, vilipesa – sei una Capra! – la sopracitata “signora” è stata a lungo confinata nell’elenco degli animali di stretta sussistenza… Per questo l’allevamento della capra in Italia ha sempre mostrato una forte discontinuità in termini numerici e di apprezzamento da parte di allevatori e consumatori.
Inizialmente in epoca romana, la capra era tenuta in grande considerazione e i suoi prodotti (carne, latte e pelle) molto apprezzati, più di quelli vaccini e ovini. Tuttavia già alla fine del periodo romano (476 d.C.) si assistette ad uno spostamento dell’attenzione dalla capra alla pecora, per il ruolo assunto dalla lana per il sistema economico e produttivo. In seguito alle invasioni barbariche, in pratica durante il basso Medioevo (1000-1492 d.C.), ha luogo la messa a coltura di nuovi terreni, con un cospicuo aumento dei seminativi e delle bonifiche. In questo periodo, la produzione della lana acquista sempre più importanza e la capra non viene più considerata di utilità sociale con una graduale riduzione dello spazio disponibile per il suo allevamento.
Da una parte si preferisce destinare i pascoli alle pecore e alle mucche, dall’altra si attuano leggi contro la stessa capra ingiustamente accusata di distruggere i boschi. Tanto che nei primi anni del XIX secolo inizia quella che verrà poi definita “guerra alle capre” . Il colpo di grazia, fu inferto durante il ventennio fascista, con l’emissione di due provvedimenti: il primo prevedeva l’esclusione del pascolo da tutte le aree boschive (anche di proprietà dell’allevatore), il secondo introduceva la “tassa sulle capre” per ogni capo posseduto. Solo dagli anni ’70 circa, quando ci si rese conto che in realtà la capra presenta l’indubbio vantaggio di poter pascolare in terreni inadatti a qualsiasi altro tipo di sfruttamento, e che quindi, se gestita con raziocinio, non sottrae nessuna preziosa risorsa all’agricoltura, si consentì una graduale ripresa del suo allevamento.
E così finalmente dopo secoli di colpevole oblio, l’Italia riabilita quest’animale e diventa produttore orgoglioso e raffinato.
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